Le violazioni del colosso statunitense in materia di privacy fanno cassa di risonanza in tutto il globo allertando anche i titolari circa le corrette pratiche da adottare quando trattano dati. Nonostante gli utenti avessero disattivato la cronologia delle posizioni su smartphone ed altri device Google ha ugualmente raccolto i dati di geolocalizzazione ed inviato annunci pubblicitari mirati in base alla loro posizione e alle loro preferenze.
È accaduto in Australia, ma anche in Europa Google è al centro di un'indagine avviata nel 2020 che riguarda pratiche analoghe e la DPC (Data Protection Commission irlandese) sta valutando se il colosso statunitense violi effettivamente le norme sulla privacy previste dal Regolamento UE, caso in cui la sanzione potrebbe essere fino al 4% del fatturato annuo globale.
Ma ritorniamo al caso australiano, dove l’azienda è stata condannata per aver fornito agli utenti informazioni poco chiare, facendo intuire agli utenti che l'unica impostazione con cui raccoglieva i dati sulla geolocalizzazione era la cronologia delle posizioni, quando invece un'altra impostazione attivata di default permetteva a Google di ottenere i dati sulla posizione di ciascun utente.
A seguito di questi accadimenti la Commissione australiana per la concorrenza e i consumatori ha avviato un procedimento contro Google e la Corte federale australiana ha stabilito che Google dovrà pagare una multa di 42,7 milioni di dollari australiani (60 milioni di euro), per aver "rilasciato dichiarazioni ingannevoli ai consumatori sulla raccolta e l'uso dei loro dati sulla geolocalizzazione” sui telefoni Android nel periodo intercorrente tra gennaio 2017 e dicembre 2018, periodo oltre il quale Google avrebbe modificato le modalità di raccolta dei dati adeguandosi alla normativa australiana e rendendo più trasparenti le impostazioni della geolocalizzazione.
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